Gli Stati Uniti rilanciano sulla parola | Roberto Buffagni
Mentre le forze armate ucraine penetrano nell’oblast’ russo di Kursk, il bilancio del Pentagono si appresta a raggiungere i miliardi di dollari. Se nel computo vengono ricomprese le spese militari – come la manutenzione dell’arsenale nucleare o l’assistenza ai veterani – riconducibili a Dipartimenti diversi da quello della Difesa, l’esborso complessivo supera già oggi quella soglia critica. Senza contare i quasi 180 miliardi destinati all’Ucraina a partire dal 2022. Ad assorbire una quota decisiva e preponderante degli stanziamenti sono programmi particolarmente onerosi e “problematici”, quali il sottomarino missilistico classe Columbia, la fregata classe Constellation e il velivolo B-21 Raider, che non è ancora chiaro se riusciranno a produrre prestazioni all’altezza delle aspettative e dei colossali investimenti sostenuti per la loro messa a punto. Il Congresso, dal canto suo, si arrabatta alla meno peggio nel tentativo di giustificare sul piano domestico l’incremento incessante e del tutto sproporzionale rispetto ai risultati sin qui ottenuti. «L’opinione pubblica statunitense – recita un documento pubblicato lo scorso luglio dalla Commission of the National Defense Strategy – è in larga parte ignara dei pericoli che gli Stati Uniti sono chiamati ad affrontare o dei costi (finanziari e di altro tipo) richiesti per prepararsi adeguatamente. Non apprezza la forza della Cina e delle sue partnership, o le implicazioni sulla vita quotidiana che si verrebbero a produrre qualora scoppiasse un conflitto. Non immagino interruzioni alle forniture di energia, acqua e beni di vario genere su cui fa comunemente affidamento. Non ha internalizzato i costi del deterioramento della posizione egemonica degli Stati Uniti. È necessaria una “chiamata alle armi” bipartisan affinché gli Stati Uniti possano sostenere i cambiamenti e gli investimenti significativi ora, anziché aspettare una nuova Pearl Harbor o il prossimo 11 settembre. Il sostegno e la determinazione del pubblico americano sono indispensabili». Il documento lamenta che la «costruzione di forza della strategia di difesa nazionale del 2022 non tiene sufficientemente conto della competizione globale o della minaccia molto reale di un conflitto simultaneo in più di un teatro». Propone pertanto un modello di costruzione di potenza che «riflette la probabilità di dover sostenere conflitti simultanei su una molteplicità di teatri a causa delle partnership instaurate da avversari di forza pari o comunque paragonabile a quella degli Stati Uniti […]. Gli Stati Uniti devono impegnarsi a mantenere una presenza militare, diplomatica ed economica a livello mondiale, volta a mantenere la stabilità e preservare la propria influenza ovunque, anche in quel “Sud globale” dove Cina e Russia stanno estendendo la loro capacità di condizionamento». La classe dirigente di Washington fa dunque risuonare i tamburi di guerra, attraverso la teatralizzazione dei processi preparatori a sostenere una molteplicità di conflitti dati per inevitabili e imminenti. Un fenomeno non nuovo, implicante un esborso crescente di denaro pubblico utile a ingrassare interessi costituiti particolarmente influenti, ma a cui non sembra corrispondere una commisurata capacità di generazione di forza. Ne parliamo assieme a Roberto Buffagni, ex militare, scrittore e collaboratore del sito «Italia e il Mondo».
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